Le migrazioni: il grande nodo della nostra epoca

Il racconto di una studentessa che ha partecipato ai percorsi didattici di conoscenza e sensibilizzazione del fenomeno migratorio proposti dal Comune di Modena all'interno degli istituti scolastici di Modena e provincia. 

LE MIGRAZIONI: IL GRANDE NODO DELLA NOSTRA EPOCA
Nei primi giorni di febbraio 2017 è stata data l’opportunità ad alcune classi dell’istituto Venturi di prendere parte ad un incontro con gli operatori dell’agenzia SPRAR (Servizio Centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo) di Modena e, in particolare, con Lamin Echam, rifugiato originario del Gambia. L’incontro è stato introdotto da una conversazione riguardante le migrazioni ed è continuato con il racconto di Lamin della sua propria esperienza di profugo.
Fuggito da un carcere in Gambia, dove era stato ingiustamente rinchiuso, Lamim ha attraversato l’Africa fino alla Libia, dove è finito nel “girone” dei trafficanti di uomini. Il suo “viaggio infernale”, iniziato a causa di un’ingiustizia, si è concluso con lo sbarco in Italia dove sta provando a ricominciare a vivere.

Il racconto di un’esperienza di questo genere non può che suscitare innumerevoli riflessioni sul tema delle migrazioni.
In primo luogo: cosa sono le migrazioni? Sono spostamenti di persone da una nazione a un’altra nella speranza di poter trovare una vita migliore.
Perché avvengono? Le migrazioni sono fenomeni legati principalmente «alla povertà e agli squilibri demografici, oltre che alle guerre e alle dittature che imperversano in molti paesi del mondo. […] Nel 2006 l’Onu calcolava 20 milioni fra esuli e rifugiati politici» (Le città della storia, vol. 3, B. Mondadori).

Negli ultimi anni tale fenomeno ha toccato molto da vicino l’Italia, che si è ritrovata ad accogliere 181mila profughi solo nel 2016. Ciò ha fatto nascere dibattiti non solo a livello nazionale, ma anche Europeo e mondiale, quasi fosse un fenomeno del tutto nuovo. L’uomo, però, migra fin dalle sue origini e chiunque ha diritto a una vita migliore.
Quindi, chi è autorizzato a impedire l’attuazione di tale diritto? Nessuno.
Su che base certe nazioni si sono sentite libere di chiudere le proprie frontiere ai flussi migratori, lasciando altri stati, quali Italia e Grecia, a dover gestire un fenomeno di tale portata? Come ha affermato lo storico Tony Judt, le migrazioni sono la “questione sociale” della nostra epoca, non dissimile, però, da quella affrontata dell’Ottocento e nei due Dopoguerra. Questo “problema” globale non può essere relegato a chi, per posizione geografica, si trova ad accogliere i profughi, «ma bisogna […] recuperare il valore di un modo di gestire la società che ha prodotto nel dopoguerra maggiore uguaglianza e coesione collettiva» (La città della storia, cit.).
Per gestire questa “questione sociale” ci vuole, chiaramente, collaborazione da entrambe le parti: chi arriva deve entrare nello stato di accoglienza in modo regolare, deve rispettare abitudini, leggi e tradizioni di tale nazione (senza snaturalizzarsi). Lo stato di accoglienza deve, dal canto suo, regolare l’introduzione dei profughi, controllare e regolarizzare la clandestinità e ricorrere all’espulsione dei singoli solo se strettamente necessaria.
Nell’agevolazione degli ingressi, va considerata anche la concessione del diritto di asilo, così come è espressa nella Dichiarazione Universale dei diritti umani, art. 14, punto 1: «Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni».
Dunque, come possiamo lasciare senza aiuto onesti e innocenti, vittime di ingiustizie, costretti ad emigrare in nazioni quali Turchia, Pakistan e Libano, lacerate da difficoltà economiche e politiche? Che fine ha fatto l’umanità?
Eventi come la fuga degli uzbeki dal Kirghizistan in fiamme, con una Croce Rossa “impotente” e lo stato kirghiso che chiude le frontiere, non devono ripetersi. Il popolo “del bordo”, coloro che restano sempre sul confine, «là dove è più facile fare i bagagli se la situazione precipita» (P. Miranda, Vite senza sosta, in «Left»), non deve più esistere. Nessuno deve essere costretto a vivere da fuggiasco.

Per l’Occidente l’ospitalità diventata una questione economica e una minaccia all’identità nazionale. La vita e la felicità non possono sottostare a tali argomentazioni. Situazioni quali l’arrivo a Modena delle vittime di caporetto che «otto mesi dopo il loro arrivo […] vivevano nelle stanze umide del sottosuolo, nei freddi solai, in locali malsani» (Alberto Molinari, Rivista dell’istituto storico della resistenza) devono essere null’altro che insegnamenti per agire meglio in futuro, e non modelli da seguire.
Le migrazioni possono essere un apporto positivo per una nazione: portano ricchezza culturale e sociale, basti pensare agli influssi artistici e ingegneristici dell’epoca classica e romana.
Gli italiani sono sempre stati migratori, gli americani esistono grazie alle migrazioni, ogni popolazione si è “esportata” fin dalla nascita dell’umanità. I migranti sono stati sia carnefici, sia vittime degli “autoctoni”. Le reticenze attuali non sono altro che ipocrisia.

Lara Bassoli

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